L’Annunciazione nel Medioevo: storia, simboli e segreti

Come si è evoluta l’iconografia dell'Annunciazione nel corso del Medioevo? Seconda parte del nostro speciale dedicato alle origini e ai simboli di uno dei soggetti più rappresentati nella storia dell'arte.

di Raffaela Fazio Smith*

(Clicca qui per leggere la prima parte: le origini dell'iconografia)

L'Annunciazione medievale

Nel Medioevo inoltrato, sotto l’influenza dello stile bizantino, il ruolo speciale e regale di Maria viene sottolineato dalla struttura architettonica: il trono diventa quasi un monumento, spesso trasformandosi in un complesso baldacchino. Maria viene così estraniata dalla realtà concreta ed inserita nella dimensione divina.

Questo spiega anche la presenza di un "drappo d'onore" dietro la Vergine, che richiama l’antica iconografia imperiale romana, in cui due personaggi tenevano un drappo dietro il sovrano, per metterne in risalto l’autorità.

 

Il ritorno della colomba

Nell’XI secolo inizia a comparire in occidente, anche se rimane poco frequente, la colomba che vola verso l’orecchio di Maria, a simboleggiare la concezione attraverso l’orecchio, di cui parlano per la prima volta, nel IV secolo, Atanasio in Egitto: “Venite e vedete l’opera meravigliosa: la donna concepisce nell’udito dei suoi orecchi”, e Efrem in Siria: “Simile al cespuglio dell’Horeb che portò Dio in seno alla fiamma, Maria ha portato Cristo nella sua verginità; perfettamente Dio, egli entrò nel suo seno attraverso l’orecchio”.

Nel XII secolo, sia in oriente che in occidente, si affermerà l’immagine dello Spirito-colomba che scende verso Maria nella traiettoria di un raggio di luce proveniente dall’alto. Importanti esempi sono i mosaici della Martorana e del Duomo di Monreale in Sicilia.

Dalla regalità alla realtà

Nell’XI secolo si fa strada l'immagine del libro, accompagnato dal pulpito o dal leggio, che sostituisce il fuso. Ciò accade anche sotto l’influsso della spiritualità francescana, che pone l’enfasi sulla pietà di Maria (piuttosto che sulla sua regalità) e riprende il racconto tradizionale, secondo il quale Maria sta leggendo il salterio nel momento in cui arriva il messaggero divino. In seguito, si farà riferimento alla profezia di Isaia 7,14: “Ebbene il Signore stesso vi darà un segno. Ecco la Vergine che concepisce e partorisce un figlio, e gli porrà nome Emmanuele”.

L’influenza francescana è riscontrabile anche nella graduale “umanizzazione” di alcune scene. La resa degli interni diventa più realistica. Nella Cappella degli Scrovegni di Padova, completata nel 1305, Giotto dipinge per la prima volta entrambe le linee del soffitto e del pavimento, per creare la perfetta illusione dello spazio.

Così, nel XIV secolo, la realtà terrena sarà sempre più percepibile nelle scene dell’Annunciazione, attraverso alcuni elementi come lo sfondo e l’architettura della scena, con oggetti di arredo e mobilio.

Anche la fisionomia e l’aspetto dei personaggi cambiano. Già Duccio, Cimabue e Lorenzetti, nel dipingere le loro Madonne, tracciano labbra piccole eppure più carnose, dita snelle eppure più sensuali rispetto alle icone dell’Oriente.

Essi iniziano a combinare il divino all’umano, poiché introducono anche ciò che piace all’uomo e non solo ciò che ha trovato grazia agli occhi di Dio. Questo atteggiamento mentale è totalmente diverso da quello bizantino, che predilige invece la resa di una realtà eterna ed immutabile.

Nel primo Medioevo, ad indicare lo scambio tra la Vergine e l’angelo, appare per la prima volta il cartiglio con trascritte le parole dell’annuncio.

In ginocchio da te

Nella sopraccitata Cappella degli Scrovegni, Gabriele e Maria sono in ginocchio, l’uno di fronte all’altra. Ma di questo modello esiste un esempio precedente, del XII secolo: un angelo in ginocchio compare su un pilastro del chiostro di Silos, in Spagna.

Anche nelle cattedrali francesi gli angeli sono spesso rappresentati come cavalieri, con una lunga veste fino ai piedi e il mantello fermato da una fibbia. Tale iconografia è influenzata dalle abitudini della vita di corte ed in particolare dall’uso feudale dei cavalieri e dei troubadours di piegare un ginocchio davanti ad una dama.

Essa diverrà sempre più popolare anche grazie alle Meditazioni dello Pseudo-Bonaventura della fine del XIII secolo, in cui si legge che Maria, nel pronunciare il suo “fiat”, s’inginocchia, seguita immediatamente dall’arcangelo Gabriele.

Trova diffusione pure un altro modello iconografico, che si ispira ad una versione dello Pseudo-Matteo, entrata anche nella Legenda Aurea, secondo la quale la Vergine dà il suo assenso allargando le mani e rivolgendo gli occhi al cielo.

Bambino in volo

Riflesso della spiritualità francescana è, inoltre, un nuovo elemento: a simboleggiare il concepimento, viene inserita la raffigurazione del bambino Gesù che porta la croce sulle spalle e scende verso Maria sulla scia del raggio di luce.

Tale modulo corrispondeva alla credenza secondo la quale Gesù non si era formato “in uterus”, ma era stato fatto discendere dal cielo da Dio (“emissus caelitus”) ed era entrato già formato nel ventre della Vergine.

 Questo modello sarà ripreso in seguito soprattutto nell’arte dell’Europa settentrionale, ma rimarrà a lungo controverso, fino alla sua definitiva abolizione. Già nel XV secolo si fanno sentire proteste, tra le quali spicca quella dell’arcivescovo di Firenze, Antonio.

Più tardi, il Concilio di Trento si associerà a queste posizioni e il teologo Molanus di Lovanio, nel suo De Historia sacrarum imaginum et picturarum, prescriverà dal repertorio dell’arte cattolica le Annunciazioni in cui si vede “corpusculum quoddam humanum descendens inter radios ad uterum Beatissimae Virginis”.

Nel nome del Padre

Un'altra comparsa fondamentale, e di gran lunga più frequente rispetto a quella del bambino Gesù, è la figura di Dio Padre nelle Annunciazioni a partire dal XIII secolo, spesso presentato a mezzo busto, come nell’Annunciazione di Pietro Cavallini a S. Maria in Trastevere o quella di Jacopo Torriti a S. Maria Maggiore, a Roma.

La presenza del Padre, oltre a quella dello Spirito, vuole sottolineare l’intervento della Trinità nel momento del concepimento, intervento che sarà in seguito simboleggiato anche architettonicamente, attraverso elementi che richiamano il numero 3, quali trifore, tripli archi, ecc. (particolarmente significativi nell’arte fiamminga). L’intervento della Trinità viene menzionato anche nelle Meditazioni dello Pseudo-Bonaventura di cui si è parlato sopra.

Faccia d’angelo

Il mutamento nel modo di percepire Maria, particolarmente evidente in Giotto e nei suoi contemporanei, che fanno della Vergine non più una Theotokos (Madre di Dio) distante, ma una regina vicina all'uomo, porta ad un cambiamento anche nella maniera di ritrarre gli angeli, tra cui Gabriele.

Gli angeli iniziano ad assumere tratti femminili e una leggerezza, una letizia paradisiaca del tutto sconosciute nella tradizione bizantina. Questa nuova femminilità è dovuta anche all’influsso che ebbe sulla pittura la tradizione letteraria del Dolce Stil Novo, in cui la donna angelicata faceva da tramite tra l’uomo e Dio.

Oltre all'angelo-cavaliere e all'angelo-ragazza, troviamo infine l'angelo-sacerdote, che viene raffigurato con vesti liturgiche nell'iconografia dell'Europa del nord a partire dal XIII secolo, come riflesso di quanto affermato da Dionigi l'Aeropagita in riferimento alla simmetria tra la gerarchia angelica in cielo e la gerarchia ecclesiastica in terra.

Come attributo di Gabriele, dal XIV secolo in poi, il giglio della purezza tende a sostituire, in mano all’angelo, lo scettro. Tale sostituzione viene fatta innanzitutto a Firenze, la città del giglio rosso. Come reazione, Siena, grande avversaria di Firenze e fiera di essere votata alla Vergine, inizia a proporre come attributo di Gabriele un ramo di olivo. Questo è visibile nel famoso dipinto di Simone Martini agli Uffizi.

Nella pittura dell’Europa del nord, comunque, il giglio è rappresentato spesso in un vaso, piuttosto che tenuto dal messaggero divino, che continua ad avere in mano uno scettro. A volte, il giglio può essere associato ad altri fiori, come la rosa della carità e la violetta dell’umiltà.


Fine seconda parte

* L’articolo in inglese è disponibile su The Global Dispatches

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