Per salvare l’Arte serve distacco

Attraverso 110 capolavori “strappati”, la bella mostra in programma al MAR di Ravenna racconta la pratica del distacco degli affreschi dal Cinquecento ad oggi. A suggerire l'idea dell'esposizione fu Roberto Longhi, nel 1957.
  Si apre domenica 16 febbraio al MAR - Museo d'Arte della Città di Ravenna la mostra “L'incanto dell'affresco. Capolavori strappati da Pompei a Giotto, da Correggio a Tiepolo”, visitabile fino al 15 giugno 2014. Curata da Claudio Spadoni e da Luca Ciancabilla, la mostra ripercorre la storia della pratica del distacco delle pitture murali attraverso 110 opere veramente spettacolari. Sono esposti infatti capolavori dei più grandi maestri dell’arte italiana come Giotto, Pisanello, Andrea del Castagno, Perugino, Raffaello, Romanino, Correggio, Pontormo, Ludovico e Annibale Carracci, Guido Reni,  Guercino e Tiepolo, solo  per citare i più celebri. Ad essi saranno affiancate alcune  fra le più belle pitture di Ercolano e Pompei, distaccate nel Settecento. L’idea di realizzare una mostra su questo tema si deve a Roberto Longhi che, dopo il successo della prima “Mostra di affreschi staccati” che si tenne a Firenze nel 1957, sosteneva che la rimozione fosse fosse l’unico rimedio per scongiurare la perdita definitiva di un vasto patrimonio artistico. La mostra di Ravenna permette così di fare luce anche sul dibattito intorno alla pratica degli stacchi, che, soprattutto nell'Ottocento, furono spesso realizzati su pressione di collezionisti privati, desiderosi di trasformare in quadri le pitture parietali.

Stacca & attacca: le origini
Risalgono ai tempi di Vitruvio e di Plinio le prime operazioni di distacco, secondo una tecnica che prevedeva la rimozione delle opere insieme a tutto l’intonaco e il muro che le ospitava. Il cosiddetto “massello”, che favorì il trasporto a Roma di dipinti provenienti dalle terre conquistate, altrimenti inamovibili, dopo secoli di oblio trovò nuova fortuna a partire dal Rinascimento - nel nord come nel centro della Penisola - favorendo la conservazione per i posteri di porzioni di affreschi che altrimenti sarebbero andati perduti per sempre. Così, in un arco temporale compreso fra il XVI e il XVIII secolo, vennero traslate la Maddalena piangente di Ercole de' Roberti della Pinacoteca Nazionale di Bologna, il Gruppo di angioletti di Melozzo da Forlì dei Musei Vaticani e la Madonna delle Mani del Pinturicchio: opere presenti in questa mostra.

Strap!
A partire dal secondo quarto del Settecento questa pratica, molto complessa e dispendiosa, venne affiancata e poi sostituita dalla più innovativa tecnica dello strappo, che tramite uno speciale collante permetteva di strappare gli affreschi e quindi portarli su di una tela. Una vera rivoluzione nel campo del restauro, della conservazione, ma anche del collezionismo del patrimonio murale italiano. Così mentre nelle appena riscoperte Ercolano e Pompei si trasportavano su nuovo supporto le più belle pitture murali dell’antichità, nel resto d’Italia si diffondeva la rivoluzione dello strappo. Da quel momento in poi e fino a tutto il XIX secolo un numero cospicuo di capolavori della pittura italiana furono strappati, staccati dalle volte delle chiese, delle cappelle, dalle pareti dei palazzi pubblici e privati che le accoglievano da secoli, per essere trasportati in luoghi più sicuri, nelle quadrerie e nelle gallerie nobiliari e principesche d’Italia e di mezza Europa. Spesso infatti, dietro a conclamate esigenze conservative, si celavano implicite motivazioni collezionistiche.

Per salvare l'arte serve distacco

Ma la prassi estrattista conoscerà la sua più fortunata stagione proprio nel secolo scorso, quando, a partire dal secondo dopoguerra furono strappati e staccati un numero impressionante di affreschi. I danni provocati ad alcuni fra i principali monumenti pittorici italiani dai bombardamenti bellici e la convinzione che l’unica strada da percorrere per evitare che in futuro potessero reiterarsi danni irreparabili come quelli al Mantegna a Padova, Tiepolo a Vicenza, Buffalmacco e Benozzo Gozzoli a Pisa, fecero si che a partire dagli anni Cinquanta fosse avviata la più imponente campagna di strappi e stacchi che l'Italia abbia mai conosciuto. In caso di una nuova guerra, anche quella fondamentale porzione del nostro patrimonio pittorico si sarebbe potuta salvare ricoverandola nei rifugi antiaerei, come era stato fatto a partire dal 1940 con le tele e le tavole dei maggiori musei della nazione.

Caccia alla sinopia
Prese quindi avvio la cosiddetta “stagione degli stacchi” e della “caccia alle sinopie”, i disegni preparatori che i maestri tre-quattrocenteschi avevano lasciato a modo di traccia sotto gli intonaci. Se nell’Ottocento era il collezionismo privato a favorire il trasporto degli affreschi, ora erano gli storici dell’arte e i musei del nuovo stato repubblicano a chiedere la diffusione su più ampia scala della tecnica estrattista rendendo facilmente fruibili a tutti tanti capolavori. L’alluvione di Firenze fece il resto, mostrando al mondo intero la precarietà che condizionava la sopravvivenza dei più straordinari affreschi italiani. Così furono separati per sempre dal muro che li aveva custoditi da secoli Giotto, Buffalmacco, Altichiero, Vitale da Bologna, Pisanello, Signorelli, Pontormo, Tiepolo trovando dimora in alcuni fra i più importanti musei della nazione, e ora, per questa mostra, nelle sale del Mar di Ravenna.

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