Michelangelo, come nacque «la più bella opera di marmo» (2ª parte)

Ammirata, venerata, vandalizzata: la Pietà vaticana è il primo capolavoro di Michelangelo. In occasione dell'anniversario della sua morte - avvenuta il 18 febbraio di 450 anni fa - lo storico dell'arte Michael Hirst racconta storia e segreti della «più bella opera di marmo che sia hoge in Roma».

di Michael Hirst*

 

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Espressività e plasticismo

Michelangelo, Pietà, San Pietro in Vaticano

Nel gruppo, il dolore è espresso principalmente dal capo reclinato della Madre. Ma è un dolore trattenuto dalla consapevolezza di un più alto proposito. La Vergine sorregge il proprio figlio morto con la mano destra, che non tocca direttamente il corpo nudo. Il braccio destro allungato e la mano distesa coinvolgono lo spettatore. Siamo quindi portati a meditare sul sacrificio di Cristo e sulla nostra speranza di redenzione, mentre, allo stesso tempo, adottando le parole dell’Alberti, «dogliamci con chi si duole».

 

Guardando il gruppo di profilo si può notare quanto limitato sia lo spessore del blocco rispetto alla larghezza. Ciò presuppone uno spazio poco profondo e rafforza ulteriormente l’ipotesi che la scultura fosse stata ideata per una nicchia. Vale perciò la pena notare che il lavoro di Michelangelo su blocchi poco profondi non iniziò con quello notoriamente stretto per il gigantesco David, di cui avrebbe ricevuto l’incarico dopo il suo ritorno a Firenze.

 

Eppure, guardando la scultura dal davanti, è difficile accorgersi dei limiti che le dimensioni del blocco imponevano: solo esaminandola molto da vicino ci accorgiamo che il braccio sinistro del Cristo, premuto contro il corpo della Vergine, è intagliato quasi  come in un rilievo.

 

L’effetto vigorosamente plastico è accentuato dalla straordinaria ricchezza del panneggio che scende dalle ginocchia della Vergine, una caratteristica spesso attribuita all'influenza di Verrocchio su Michelangelo, ma che si può trovare anche nelle monumentali pale d’altare dipinte dal Ghirlandaio. Le pieghe servono a nascondere l’appiattimento delle forme posteriori.

Nonostante il contratto, secondo cui il gruppo di Madre e Figlio avrebbe dovuto essere «grande quanto sia uno huomo iusto», il Cristo di Michelangelo è percettibilmente più piccolo della Vergine, conseguenza questa di un’antica tradizione dei gruppi di Pietà che, per gli osservatori colti, avrebbe parallelamente rievocato l’infanzia di Cristo, quando era sorretto nelle braccia della Madre.

 

La tecnica scultorea

La tecnica scultorea della Pietà rivela un’estrema raffinatezza, molto diversa dall’audacia esecutiva del Bacco. Ogni particolare è modellato con cura amorosa e l’abbondanza di dettagli è unica nell’opera di Michelangelo. I capelli e la barba di Cristo sono resi con grande delicatezza e, per fare un solo esempio, la carne strappata attorno alla ferita della mano destra abbandonata è resa con eccezionale realismo.

Sono pochi qui i segni dell’uso del trapano e comunque confinati in zone secondarie, come la radice del tronco d’albero su cui poggia il piede sinistro di Cristo. Probabilmente quell’area non era visibile al momento dell’installazione del gruppo.

La Pietà mostra anche quello splendore della superficie che è stato tante volte notato e che può essere stato raggiunto solo tramite un’infaticabile lucidatura. Sicuramente questa era in parte richiesta dalla relativa oscurità dell’interno di Santa Petronilla.


 

Una firma singolare

Michelangelo firmò l’opera con il suo nome, specificando la sua origine fiorentina sulla fascia sopra il petto della Vergine, un elemento mai ripetuto nelle altre sue sculture.

Vasari riporta un aneddoto molto elaborato per giustificarne la presenza, raccontando come alcuni visitatori della cappella avevano attribuito la Pietà a uno scultore lombardo e che di conseguenza Michelangelo aveva voluto aggiungere la propria firma.

Può darsi però che Michelangelo non facesse altro che seguire l’esempio di Filarete, suo predecessore fiorentino, il quale qualche decennio prima aveva firmato col proprio nome le monumentali porte in bronzo della basilica, aggiungendovi «de Florentia».

La firma è comunque singolare. Michelangelo usa l’imperfetto invece del comune «fecit»: è stato acutamente notato che questa rara forma è da ricondurre alla sua formazione fiorentina nella cerchia medicea, e in modo particolare a Poliziano, il quale, è bene ricordare, aveva fornito all’artista il soggetto della Battaglia dei Centauri.

 

La consegna dell’opera e una strana coincidenza

Il periodo di un anno accordato all’artista per realizzare una scultura di tale complessità e raffinatezza può sembrare incredibilmente breve.

I pagamenti da parte del cardinale de Bilhères continuarono in ottobre e in dicembre 1498. A un certo punto cessano di comparire nel conto dei pagamenti relativi alla commissione. Tuttavia un consistente accredito registrato molto più tardi, il 3 luglio 1500, può essere riferito con un buon margine di sicurezza alla Pietà. In quel giorno furono versati a Michelangelo 232 ducati dalla banca senese dei Ghinucci; questo sembra sufficiente a confermare l’ipotesi che si è avanzata. Difatti gli esecutori testamentari del cardinale, che si occuparono dei suoi affari in seguito alla sua morte nell’agosto 1499, si erano valsi proprio della banca Ghinucci per le spese funerarie.

Quest’ultimo pagamento indica forse il compimento dell’opera. La data si accorderebbe bene con la successiva commissione a noi nota, una pala d’altare per la chiesa di Sant’Agostino a Roma, che sarebbe stata iniziata nel settembre 1500, appena due mesi più tardi.

Ma prima di congedarci da essa possiamo notare un curioso pagamento, fatto dallo stesso Michelangelo il 6 agosto 1499, della somma non indifferente di tre ducati «a Sandro muratore», il quale non è menzionato altrove nei suoi conti. Se, come è stato cautamente suggerito, si trattava di un pagamento al muratore per l’installazione del gruppo marmoreo, ne conseguirebbe che l’artista avrebbe rispettato il termine di scadenza dell’accordo. Per una strana coincidenza, il cardinale morì in quello stesso giorno.


Immagini tratte da A. Pinelli (a cura di), La Basilica di San Pietro in Vaticano, Franco Cosimo Panini Editore

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