Magri da far paura: sono i golosi del Purgatorio, che Dante, Virgilio e Stazio incontrano in questa spettacolare miniatura.

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L’albero visibile alle spalle di Dante, Virgilio e Stazio, benché diverso dalla descrizione dantesca di un cono rovesciato, mostra come i tre poeti siano giunti nella sesta cornice, nella quale espiano le anime dei golosi: a essa è dedicata tutta la miniatura.

Al centro dell’immagine è Dante con tre golosi. Uno di questi è il fiorentino Forese Donati, già caro amico del poeta negli anni della giovinezza, che il miniatore non rende però identificabile rispetto agli altri penitenti. Tale indeterminatezza traduce infatti lo sconcerto di Dante che, a causa della magrezza, non può riconoscere l’amico se non dal suono della voce. Più che l’identità di ogni singola anima, infatti, importa il vigore con cui è tratteggiata l’impressionante magrezza dei golosi: “ne li occhi era ciascuna oscura e cava, / palida ne la faccia, e tanto scema / che da l’ossa la pelle s’informava”.

In particolare in due anime che protendono le mani verso la pianta si può davvero leggere la lettera “emme” (cioè la M gotica maiuscola), formata dagli zigomi e dagli archi sopraccigliari per le due curve laterali, e dal naso per la linea mediana, che il poeta dice di aver visto nei volti delle anime da lui incontrate.

La miniatura coglie il poeta mentre indica con la mano Virgilio e Stazio, spiegando a Forese come uno gli abbia fatto da guida, l’altro invece sia un penitente che ha compiuto il suo cammino di purificazione; il fatto che il gesto di Dante coinvolga involontariamente una prima raffigurazione di Dante stesso, è conseguenza inevitabile di quel metodo della illustrazione simultanea che caratterizza le miniature del nostro codice.

L’ultima sequenza mostra un nuovo gruppo di golosi che si chinano verso un ruscello sperando vanamente di poter gustare dell’acqua, o che protendono le mani verso una seconda pianta dai rami “gravidi e vivaci”, come “bramosi fantolini e vani”. Proprio il desiderio sempre frustrato di cibarsi e di bere che tale vista suscita acuisce il terribile dimagrimento che connota le anime dei golosi.

Nel margine superiore della raffigurazione l’angelo della temperanza cancella con l’ala distesa sulla fronte di Dante una P lì incisa. Tuttavia, il limite posto dalla cornice che definisce le dimensioni della miniatura e l’ampio spazio concesso allo sviluppo narrativo dell’episodio hanno indotto il miniatore a porre il ministro celeste al centro dell’immagine. Anche il colore dell’abito angelico differisce da quello normalmente impiegato, ma qui meglio risponde al testo dantesco. Se infatti gli altri angeli sono solitamente di verde vestiti, questo è raffigurato in abito violetto giacché il poeta, volgendo verso di lui il viso, dichiara che “già mai non si videro in fornace / vetri o metalli sì lucenti e rossi”.

Il testo è tratto da Milvia Bollati (a cura di), La Divina Commedia di Alfonso d’Aragona, Franco Cosimo Panini Editore.

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