Altro mercoledì, altra storia! Questa settimana vi poniamo una domanda molto difficile: a cosa sareste disposti pur di mantenere la vostra libertà?

Boccaccio elogia spesso, nel suo De Mulieribus Claris, le gesta di donne dall’animo intrepido. Un esempio eccellente è la nobile cartaginese Sofonisba, che decise di rinunciare alla propria vita pur di non soccombere ai suoi nemici. La sua storia ha luogo nella Numidia del 203 a.C., al tempo della Battaglia dei Campi Magni, quando Scipione Africano e il sovrano della Numidia Orientale Massinissa si scontrarono contro un’armata di Cartaginesi e Numidi occidentali.

Cosa c’entra Sofonisba in tutto questo? Data in moglie a Siface, capo dei Numidi occidentali, la donna sfruttò la sua astuzia per convincere il marito a schierarsi con i Cartaginesi durante la Seconda Guerra Punica. Traditi così gli antichi alleati romani, Siface e i suoi furono sconfitti e il re catturato e privato dei suoi territori. Tutti gli sforzi di Sofonisba andarono quindi in fumo e la giovane finì nelle mani di Massinissa. Incantato dalla sua bellezza, il comandante non riuscì a non innamorarsene perdutamente e decise di renderla sua sposa. Ma il matrimonio non durò a lungo: Scipione, temendo che la principessa avrebbe fatto rivoltare il suo alleato contro Roma così come aveva fatto con Siface, ordinò che Sofonisba fosse portata a Roma come prigioniera.

Conscio dell’animo indomabile della moglie, Massinissa mandò un servo a comunicarle la notizia e a porgerle una coppa di veleno come alternativa alla cattura. Con compostezza e senza esitazione, Sofonisba accettò dunque il “dono nuziale”, affermando aspramente che, ad ogni modo, avrebbe preferito morire senza essersi sposata, rimproverando così la viltà del marito.


“Sofonisba”, miniatura tratta dal manoscritto “Des cleres et nobles femmes”, ms. Spencer Collection 033, f. 40v, 1450 circa, The New York Public Library.

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